
La Teoria del Tutto si scopre orfana del test decisivo.
di Ermanno Bencivenga, University of California - Irvine
Anche i migliori scienziati non sanno sempre evitare la trappola di slogan di grande effetto mediatico, ma di poca o nessuna sostanza. È il caso di Stephen Hawking, il quale nel recente libro «The Grand Design» giudica a portata di mano una Teoria del Tutto che spieghi in modo necessario l'esistenza e l'evoluzione dell'Universo, e su questa base procede ad affermazioni radicali come «la filosofia è morta» e «non abbiamo bisogno di un Dio creatore».
Da non credente, non solo nell'Onnipotente ma anche nei dogmi dello scientismo, ho partecipato il 9 novembre, davanti a un pubblico attento e numeroso, a una tavola rotonda stimolata dal libro di Hawking e intitolata, appunto, «L'Universo non ha bisogno di Dio?», organizzata dall'astronomo Piero Benvenuti presso la Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. Insieme con noi hanno dialogato il fisico di Bologna Silvio Bergia e il teologo di Venezia Simone Morandini.
Il tema che è emerso con maggior chiarezza dal dibattito è quante mediazioni arbitrarie si debbano accettare per arrivare da una rappresentazione plausibile dello stato effettivo della scienza a pronunciamenti come quelli di Hawking. In primo luogo, è noto che di nessuna teoria può essere provata la verità. Il meglio che si possa ottenere è una sua corroborazione sperimentale.
La teoria, cioè, può al massimo fornire un quadro coerente in cui collocare i risultati osservativi. Di necessità, dunque, sarebbe meglio non parlare, e proporre invece la possibilità che le cose stiano come sancito dalla teoria. Anche la possibilità, però, è a rischio: sappiamo dal secondo teorema di Gödel che la coerenza di una teoria potente almeno quanto l'aritmetica elementare non è dimostrabile, se non accettando una teoria più potente. Nel caso specifico della teoria che fonderebbe la spiegazione universale auspicata da Hawking, inoltre, cioè la teoria delle stringhe, c'è il grosso problema che essa non fa nessuna previsione che possa essere sottoposta a controllo sperimentale; quindi non solo non potremo mai sapere se il quadro che offre sia coerente, ma non è neanche chiaro che cosa debba entrare in tale quadro.
Assumiamo, comunque, che una qualche teoria fisica permetta davvero di render conto di tutti i fenomeni che è in grado di descrivere; ciò vuol dire forse che essa renderebbe conto di Tutto? Per raggiungere questa conclusione bisogna accettare un'ulteriore, controversa premessa di carattere riduzionista: che cioè esista un livello ontologico privilegiato al quale ogni cosa e ogni evento possano essere ridotti; che per esempio la natura e il comportamento di una cellula, di un canguro o del Parlamento italiano possano essere spiegati in modo esauriente dalla teoria delle stringhe. Il che rifiuterebbero quanti ritengono assodata l'esistenza di fenomeni emergenti, che non possono essere descritti e capiti se non in un vocabolario che si situi alla loro scala di grandezza e nel loro orizzonte di senso. Tentare di spiegare un organismo in termini delle entità fisiche fondamentali, quali che esse siano, sarebbe per costoro come voler ridurre i flussi giornalieri del traffico agli impegni personali di ogni singolo guidatore.
«Il mondo» è un insieme di strutture fra loro incommensurabili, descritte in linguaggi distinti e di indipendente dignità; e stare al mondo esige attenzione e rispetto per questa diversità. Quando attenzione e rispetto vengono meno e ci sclerotizziamo nell'uso di un unico strumento espressivo, si è suggerito a Padova, il risultato è una teoria del tutto, una delle tante che, ahimè, ci circondano. È una teoria del tutto il creazionismo all'americana, che ha una risposta banale per ogni domanda; lo è la filosofia accademica, incartapecorita e autoreferenziale, di cui si fa benissimo ad annunciare la morte (senza perciò poterne trarre verdetti per la filosofia tout court, che prospera, spesso, proprio nei laboratori di fisica); e lo è anche una teoria scientifica, quando i suoi cultori dimenticano o occultano il suo carattere di coraggiosa avventura, di ipotesi creativa e originale, di scommessa azzardata, e tentano di presentarla, a sé stessi e ad altri, come la Sola e Assoluta Verità.





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